PASSIONE DI COPPIA: QUANTO E’ IMPORTANTE?

La passione, in una #coppia, è un elemento cardine, quasi indispensabile.

Essa indica intesa e attrattività fisica, sessuale, emotiva… ma non solo!

Passione è anche rendersi attraenti per il proprio partner, essere desiderabili.

Si tratta di un concetto semplice, ma spesso difficile da rispettare e mantenere nel tempo.

La prima difficoltà è data dal considerare la passione esclusivamente legata all’esteriorità e quindi alla bellezza e all’aspetto fisico.

In realtà, essa può associarsi al ‘fascino’ cioè a quella caratteristica che rende interessanti ! Senza necessariamente avere delle belle gambe o un addome scolpito.

Il fascino non conosce età, altezza, forma fisica…

Ogni coppia dovrebbe cercare di mantenere viva la ‘fiamma’ della passione.

Capita, però, che i partners  cedano alla monotonia della routine, all’abitudine.

La monotonia si trasforma in noia e la noia genera insoddisfazione.

Ci sono anche coppie che non danno più importanza alla loro desiderabilità poiché ritengono che ormai la coppia è ormai consolidata e non bisogna più curare l’aspetto della passionalità.

Si tratta di quelle coppie che cominciano a dare tutto per scontato.

Questo è un errore fatale: nulla è scontato.

Le coppie dovrebbero sempre ricercare la passionalità, evolvere sessualmente ed emotivamente, cercare nuove forme di complicità e di piacere.

La passione non si sperimenta solo per un periodo. La passione va coltivata e mantenuta costantemente.

In questo modo la coppia sarà più coesa, più aperta al dialogo e alle novità e non sarà vittima della noia.

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LO STRESS CRONICO: RISCHIO ALZHEIMER

Lo stress cronico, se persistente, aumenterebbe il rischio di sviluppare demenza e Alzheimer.

A svelarlo è una ricerca dell’Università di Copenaghen, la quale sostiene che le percentuali di rischio siano aumentate dal 25% al 40%.

I ricercatori hanno misurato il livello di stress cronico tenendo conto di alcuni parametri, come la tendenza all’irritabilità, il senso di affaticamento e la demoralizzazione.

Lo stress  negativo causa malessere fisico e psicologico.

Chi è particolarmente stressato appare irascibile, teso, nervoso,  talvolta distratto e spesso costantemente sovrappensiero.

Quando lo stress diventa cronico si parla di “esaurimento vitale”.

Va sottolineato che lo stress cronico, a lungo andare, diventa problematico e difficile da gestire.

Questo porterebbe a conseguenze poco piacevoli dal punto di vista lavorativo, relazionale, nonché della salute personale.

Grazie alla ricerca condotta dall’Università di Copenaghen, sappiamo che lo stress cronico si associa al rischio di malattie cardiovascolari, obesità, morte prematura e Alzheimer.

Maggiore è il livello di stress, maggiori potrebbero essere le possibilità di soffrire di Alzheimer negli anni successivi.

Questi dati sono essenziali per una serie di considerazioni.

Innanzitutto, invitano alla riflessione sul proprio stile di vita e sui ritmi di ciascuno di noi.

Certamente la società di oggi richiede ritmi sempre più frenetici, prestazioni lavorative/scolastiche sempre migliori, e maggiore competizione.

Tutti questi aspetti hanno un impatto notevole sull’individuo che deve essere in grado di gestire i vari impegni, deve puntare al massimo a scuola/lavoro o in qualsiasi altra attività.

Questo si traduce in stress e stanchezza psicologica e fisica.

L’equilibrio della persona risulta così compromesso e il benessere psico-fisico è alterato.

Che dire…….non sottovalutate lo stress!

Fonte: Popular Science

CUORE E CERVELLO

Il cuore e il cervello sono connessi tra di loro?

Diverse ricerche evidenziano che persone a rischio vascolare per diabete, ipertensione, cardiopatia, hanno più possibilità di sviluppare cambiamenti cerebrali.

Inoltre, pare che vi sia una correlazione tra problemi cardiovascolari e demenza.

Un’interessante ricerca dell’Università di Edimburgo ha sottoposto alcune persone a risonanza magnetica.

Dalla risonanza è emerso che maggiori sono i fattori di rischio di una persona, peggiore sarà la sua salute mentale.

Fumo, ipertensione, diabete, obesità, pressione elevata sono tutti fattori che mettono a rischio il cuore con compromissione della struttura del cervello.

Dalla risonanza magnetica si nota, inoltre, che la sostanza grigia diminuisce e alcune aree del cervello si restringono notevolmente.

I problemi al cuore, dunque, hanno un impatto negativo anche sul cervello.

Simon Cox, autore principale della ricerca, sottolinea che ci sono aspetti sui quali non abbiamo il controllo, ad esempio i geni.

I geni contribuiscono all invecchiamento cognitivo e cerebrale.

Tuttavia, dice Cox, possiamo esercitare il controllo su altri fattori per evitare che questo declino sia prematuro o improvviso.

È bene, pertanto, tenere sotto controllo  alcuni importanti fattori  come fumo, alcol, cibo, stress, ipertensione, ecc.

Maggiori sono i rischi che mettono a rischio il cuore, maggiori saranno quelli che metteranno  a rischio anche il cervello.

Fonte: Popular Science

IL PIACERE: CIBO PER LA MENTE

Il piacere, per chi non lo sapesse, può essere considerato cibo per la mente.

Possiamo pensarlo come ricco di nutrienti’ per il cervello e per il benessere.

È un ‘alimento’ che rende il cervello felice, ci stuzzica, ci da la giusta carica.

Inoltre, rende più longevi.

Quando siamo soddisfatti e appagati il nostro organismo produce un ormone, la serotonina, che è l’ormone del buon umore.

Maggiore è il piacere che si trae da un’attività, maggiore sarà il livello di attivazione del cervello.

In questo modo verrà anche stimolata la produzione di serotonina.

Oltre che attivarci, le esperienza piacevoli generano una condizione di rilassamento.

Il rilassamento è essenziale in quanto si oppone allo stress che, se in eccesso, porta ad una maggiore produzione di cortisolo che è dannoso per il nostro organismo.

Pertanto, il piacere è uno dei migliori antidoti per ‘disintossicare’ il cervello dallo stress e per permettergli di essere sempre attivo e in cerca di nuovi stimoli.

Data l’importanza del piacere, è fondamentale scegliere saggiamente quello che ci soddisfa maggiormente.

Per fare degli esempi: musica, danza, sesso, passeggiate all’aria aperta, conversazione, buon cibo, cinema, teatro, lettura. E, per gli audaci, anche qualche piacere proibito…

Insomma, ognuno può scegliere una o più attività e trarne il massimo beneficio.

Non negatevi il piacere ma ricercatelo!

Fonte: Institute for the psychology of eating

STRESS E ANSIA: QUALI SONO LE DIFFERENZE?

Stress e ansia sono due parole che usiamo spesso.

Sono due parole che hanno significati diversi, tuttavia, spesso vengono utilizzate in modo inappropriato.

Tra i due, infatti, vi sono delle differenze.

Hans Selye  fu il medico che coniò il termine stress. Lo stress è una risposta del corpo a delle richieste ambientali. La pressione dello stress genera la motivazione per adattare i nostri comportamenti alle richieste ambientali.

Selye, inoltre, distingue uno stress positivo (eustress)e uno stress negativo (distress).

L’eustress è correlato al benessere e alla soddisfazione. Il distress, invece è dannoso e controproducente per la persona.

Fondamentalmente lo stress riguarda le nostre strategie per fronteggiare gli stimoli che hanno un effetto su di noi. Si tratta di stimoli interni ed esterni.

Più si percepisce pressione dagli stimoli, maggiore sarà il livello di stress.

L’ansia, invece, è tipicamente un fenomeno che dipende da noi.

L’ansia è dunque regolata da fattori interni e non concerne le capacità di affrontare alcun tipo di richiesta.

Mentre lo stress riguarda il presente, l’ansia riguarda il futuro.

Lo stress, a volte, è culturalmente apprezzato come status symbol a differenza dell’ansia che, invece, sembra rappresentare debolezza.

Un esempio potrebbe essere il lavoro. Chi è stressato per il lavoro appare come una persona che lavora a pieno ritmo, intraprendente, che dedica tutte le sue risorse a quell’attività. Chi invece dimostra ansia, viene visto come una persona che potrebbe non riuscire a portare a termine qualcosa, che potrebbe avere paura di occuparsi di nuovi compiti o di rivestire ruoli con più responsabilità.

Stress ed ansia, ad ogni modo, condividono il fatto di compromettere l’equilibrio, soprattutto psichico, della persona.

Sono certamente fenomeni normali e inevitabili; tuttavia, se persistono o sono frequenti è bene agire per recuperare il proprio livello di benessere.

Fonte: Psychology today

CAPACITA’ DI MENTALIZZAZIONE: COS’E’?

La capacità di mentalizzazione consiste nel riconoscimento degli stati mentali altrui.

Nello specifico, è  ciò che ci permette  di capire un comportamento altrui e di riconoscere agli altri degli stati mentali.

Seppur sembri banale, in realtà si tratta di un’importante capacità.

Poiché è così complessa, essa si acquisisce intorno al quarto anno di vita.

Intorno ai primi tre anni di vita, i bambini non sono in grado di  ‘mettersi nei panni degli altri’.

Per arrivare a queste evidenze, nel campo della psicologia, diversi psicologi hanno condotto un elevato numero di esperimenti.

Possiamo infatti citare autori quali Piaget, Vygotsky e molti altri: tutti interessati alle tappe evolutive dei bambini e allo sviluppo delle capacità mentali.

In un recente studio,  creato per testare la capacità di mentalizzazione di bambini, alcuni ricercatori hanno elaborato una situazione sperimentale.

I bambini che hanno partecipato ,  hanno circa  3 – 4 anni.

In una  prima fase sperimentale  gli viene mostrata  una scatola di cioccolatini contenente delle matite.  Successivamente li  viene  chiesto cosa avrebbero risposto a delle persone “se gli avessero domandato il contenuto della scatola”.

Le risposte sono state di due tipi:

  • Risposta ‘matite’per i bambini che non avevano ancora acquisito la capacità di mentalizzazione.
  • Risposta ‘cioccolatini’ per i bambini con la capacità di mentalizzazione e dunque in grado di riconoscere la diversità di pensiero tra sé e gli altri.

La capacità di mentalizzazione è fondamentale nella vita di ciascuno di noi in quanto ci da la consapevolezza della diversità di pensiero. Inoltre, ci permette di entrare in risonanza con gli altri, comprendere e prevedere i comportamenti altrui.

Fonte: Popular Science

LE ALLUCINAZIONI

Le allucinazioni consistono nella percezione di qualcosa che non è reale.

La psicopatologia classica le definisce  percezioni senza oggetto.

La persona, cioè, risponde comunque ad uno stimolo che in realtà è solo immaginario.

È, però, giusto sottolineare che le allucinazioni non rappresentano esclusivamente un fenomeno psichico classificabile come disturbo.

Infatti, anche noi talvolta possiamo sperimentarla. Ad esempio, quando percepiamo un suono che in realtà non è stato prodotto.

Questo spiega come il confine tra normalità e patologia sia molto sottile.

Ritornando alle allucinazioni in senso patologico, vediamo che esse sono di vario tipo.

Distinguiamo infatti quelle visive, uditive, olfattive e ipnagogiche.

Le più comuni e frequenti sono quelle uditive. Queste prevedono che la persona percepisca delle voci, dei rumori, dei ronzii.

Una delle situazioni più gravi è sicuramente quella in cui un paziente riferisce di percepire quotidianamente delle voci in sottofondo. Potrebbero essere voci che, ad esempio, gli comunicano ogni suo movimento e commentano ogni suo gesto.

Capite bene quanto sia stressante ed estenuante una situazione del genere.

Interessanti sono anche le allucinazioni gustative per cui, ad esempio la persona, percepisce come sgradevole un cibo in realtà di suo gradimento o ritiene che quel cibo non è buono in quanto avvelenato.

Questi sono solo alcuni esempi di come le allucinazioni possano compromettere la vita di una persona.

Solitamente esse derivano da un evento scatenante associato a fattori di personalità e vissuto soggettivo della persona.

Le allucinazioni sono trattate da specialisti, il cui aiuto è fondamentale per i pazienti.

 

 

SOCIAL E NARCISISMO ?

E se i social fossero una delle con cause del narcisismo?

Oggi viviamo in una realtà virtuale e perdiamo il contatto con tutto ciò che ci circonda veramente.

È questo il motivo, probabilmente, per cui ci si focalizza sulla notorietà in termini di ‘mi piace’ e ‘seguaci’.

Ostinarsi alla ricerca della notorietà porta a sviluppare una vera e propria dipendenza per i social tanto che patologie come la dipendenza dal web sono, oggi, espressione di una tendenza narcisistica.

Il perché è semplice. La dipendenza mette in luce fragilità e incertezze per le interazioni sociali.

Alcuni  recenti studi, infatti, hanno mostrato delle correlazioni tra narcisismo e uso dei selfie.

Si potrebbe dunque parlare di narcisismo da social?

La problematica coinvolge soprattutto adolescenti e giovani adulti che ogni giorno controllano l’aumento o meno dei propri followers.

Mentre, la tendenza degli anziani a focalizzarsi su sé stessi è correlata, spesso a solitudine e fragilità.

Questa nuova forma di narcisismo porta la persona a mettersi in mostra sui social per dimostrare la sua esistenza. Inoltre, cercherà di far apparire la sua vita come perfetta e straordinaria.

Si tratta, in realtà, di persone  insicure, titubanti, vulnerabili, con difficoltà nelle relazioni interpersonali. Alcuni studi dicono anche che si tratti di individui che faticano a concentrarsi, ad essere ricettivi e perspicaci.

Questo è il motivo per cui adottano un comportamento compensatorio sui social che li renda visibili e aumenti il loro Ego.

Ovviamente non tutti sviluppano una condizione di narcisismo, ma i social hanno certamente un’influenza rilevante che non va sottovalutata.

Fonte: Popular Science

INSONNIA: I GENI COINVOLTI

L’insonnia è causa di vari malesseri.

La mancanza di sonno e l’impossibilità di dormire serenamente minano l’equilibrio psico-fisico di una persona.

Essa, infatti, può causare emicrania, indebolimento delle capacità di memoria e concentrazione, sbalzi d’umore.

Oggi, grazie agli studi dell’Università di Exeter e del Massachusetts, sono stati individuati 57 geni associati ai sintomi dell’insonnia.

I ricercatori hanno identificato diverse regioni del DNA che contribuiscono all’insonnia.

Queste parti di DNA sono coinvolte nei circuiti delle emozioni, dello stress e della tensione.

Prima, invece, si era soliti pensare che fossero coinvolti solo i circuiti cerebrali del sonno.

Si tratta di una scoperta notevole che potrebbe portare a sviluppare nuovi trattamenti.

I trattamenti in questione ridurrebbero il rischio di depressione e malattie del cuore.

Sembra che l’insonnia condivida le basi genetiche con disturbi psichiatrici e malattie del metabolismo. Infatti, i ricercatori hanno la prova che il rischio di depressione aumenti a causa di questo disturbo.

La correlazione studiata dai ricercatori si rivela di fondamentale importanza per ridurre i rischi di depressione e il rischio di condurre una vita infelice, stressata, ricca di tensioni ed emozioni negative.

L’insonnia può talvolta verificarsi ma se diventa una situazione ricorrente occorre rivolgersi a degli specialisti per individuare le cause scatenanti il disturbo.

In questo modo, si avranno più possibilità di ristabilire il proprio equilibrio e la propria vita.

Fonte: Popular science